Teramo Teatro Comunale

16.02.2012 12:26

Giovedì 16 febbraio ore 21 Tutto su mia madre Teatro Comunale Teramo

In scena giovedì 16 febbraio 2012, alle ore 21, al Teatro Comunale di Teramo, si svolgerà lo spettacolo “Tutto su mia madre” di Samuel Adamson per la regia di Leo Muscato. Lo spettacolo sarà replicato venerdì 17 gennaio 2012 alle ore 17 e alle ore 21. “Tutto su mia madre è il film capolavoro scritto e diretto da Pedro Almodóvar nel 1999 al vertice della sua maturità artistica. È una dedica “a tutte le attrici che hanno interpretato delle attrici, a tutte le donne che recitano e a tutte le persone che vogliono essere madre”. Il forte appeal teatrale di questo testo – spiega  Leo Muscato - è già stato colto dall’Old Vic Theatre di Londra che nel 2007 ne ha prodotto una messa in scena. Il testo, basato sulla sceneggiatura originale di Almodóvar, è stata adattato per il teatro da Samuel Adamson. Si parla di maternità, paternità, omosessualità, uomini che diventano donne, padri che diventano madri. Si parla fortemente di teatro, cinema e scrittura; di malattia, di droga, aids, di trapianti, donazione di organi, d’amore e di morte. Un dolore di fondo, filtrato da una visione ironica dell’esistenza stessa. L’incrocio di questi temi sarebbe potuto diventare un guazzabuglio senza pari. Nelle mani di Almodóvar, invece, ogni cosa si concatena perfettamente, nella vita di tutti quei personaggi che Manuela, la protagonista, incontra nel suo viaggio. L’elemento dominante nel testo di Adamson è la metateatralità, si tratta di un grande omaggio al teatro e all’arte degli attori. Il nostro spettacolo si fonda sul linguaggio specifico del teatro e chi vorrà venire a vederlo dovrà cercare di rimuovere (solo per due ore) i ricordi e la passione che lo straordinario film di Almodóvar gli avrà procurato. Il risultato non potrà che essere diverso, ma abbiamo fiducia che possa essere altrettanto emozionante. Manuela, la protagonista della nostra storia, ha un’esistenza decisamente poco ordinaria. Nel corso della sua vita ha fatto tante scelte, una più difficile dell’altra: quella di rimanere accanto all’uomo che amava anche dopo la trasformazione che l’ha portato ad avere un paio di tette più grosse delle sue; quella di fuggire lontano, sparire senza lasciare traccia di sé, nel momento in cui si rende conto di essere incinta. Quella di crescere suo figlio Esteban da sola, di non dirgli nulla di suo padre, chi fosse, cosa facesse né il perché della sua assenza… Ma un giorno suo figlio la mette con le spalle al muro ed esige da lei le risposte a tutte le domande che da diciassette anni gli risuonano in testa. Manuela si rende conto di non poter più fuggire e gli fa una promessa, quando però è il momento di mantenerla è ormai troppo tardi, improvvisamente è un’altra vita. Manuela scappa di nuovo. Un profondo senso di colpa la porta a intraprendere un viaggio, a confrontarsi col passato e andare alla ricerca di quel padre, a cui poter finalmente raccontare tutto di suo figlio. In questo viaggio incontra altre donne in bilico sul ciglio della vita, ognuna col suo dolore che gli morde in petto, ma tutte con una visione ironica della propria esistenza, una sorta di basso continuo in questa sinfonia per anime sole. Incontra la famosa attrice Huma Rojo, un’icona per suo figlio Esteban, e scopre che nella vita privata è un’anima in pena, alla continua rincorsa di un amore malato verso una ragazza molto più giovane di lei, Nina, fragile, in fuga da ogni cosa, prima di tutto da se stessa. Incontra Suor Rosa, un’anima complicata che non vuole rinunciare a credere all’esistenza di un amore incondizionato che non si aspetti nulla in cambio. In parallelo Rosa vive il conflitto con sua madre, una donna apparentemente anaffettiva, ma che in realtà è soltanto indurita dalla vita. E incontra Agrado, travolgente amica trans, spirito franco, convinto che nella sua vita di autentico ci siano soltanto i sentimenti e il silicone. Manuela diventa necessaria a ciascuna di loro e in qualche modo inizia a imparare di nuovo a fare cose che possano durare nel tempo. Lo spettacolo sta a una certa distanza dal film: il testo di Adamson ha un andamento quasi onirico ed Esteban diventa una figura Kantoriana, una specie di Virgilio che prende lo spettatore per mano e gli fa fare un viaggio nel suo taccuino, un luogo in bilico fra la realtà e l’immaginazione, in cui sono appuntate tutte le idee per scrivere un’opera teatrale su sua madre e il cui titolo sarebbe appunto Tutto su mia madre. Sono tanti i temi affrontati in questa storia. Si parla di maternità, paternità, omosessualità, uomini che diventano donne, nonne che diventano madri. Si parla fortemente di teatro, cinema e scrittura; di malattia, di droga, aids, di trapianti, donazione di organi, d’amore e di morte. Un dolore di fondo, filtrato da una visione ironica dell’esistenza stessa. E alla fine viene fuori un modello di famiglia anticonvenzionale, in cui l’unica cosa che conta e l’amore che si è in grado di dare a un’anima innocente. È il trionfo dei grandi sentimenti, basterebbe spingere appena il pedale del pathos per scivolare nel “melodrammatico”, ma a fare da paracadute c’è il gioco, la leggerezza, l’ironia e il ritmo serratissimo. L’opera teatrale, ancora più del film, è un grande omaggio alle donne, al teatro e all’arte delle attrici. E non tanto per le citazioni dal film Eva contro Eva, o per le scene ambientate fra camerino e palcoscenico su cui Huma Rojo recita Un tram chiamato desiderio, quanto per l’alternanza di momenti di autenticità, a momenti in cui si sospende la credibilità e lo spettatore è indotto alla riflessione. Perché in quest’epoca buia il teatro rimanga un luogo dentro cui poter ricostruire le domande alle mille risposte che pensiamo di possedere; perché aiuti l’uomo a stare con l’uomo; lo incoraggi a prendere parte a una comunione, a un rito collettivo; perché attraverso lo spaesamento e lo spiazzamento dai luoghi comuni possa capire cosa diavolo sta succedendo in questo mondo. Se il teatro non si riappropria di questa necessità, rischia di livellarsi a un mistificante modello d’intrattenimento televisivo, ripetitore di ovvietà.  E a quel punto, chi sta facendo di tutto per affossare quest’arte, si sentirà autorizzato a credere di aver avuto ragione di farlo. Quando ci limitiamo - saggiamente - a ciò che ci pare possibile, non avanziamo mai di un passo. Questo lavoro è dedicato a chi persegue l’obiettivo di fallire in imprese sempre più grandi”.

Fondazione Teatro Due/Teatro Stabile del Veneto

 


Powered by Pubblievents sas